Tutor dell’apprendimento: di cosa si occupa questa figura?

Si sente parlare sempre più spesso di tutor dell’apprendimento e di percorsi di tutoring, ma cosa significa questo termine? E che differenza c’è tra un percorso di questo tipo e le ripetizioni o l’insegnamento o altri professionisti che si occupano dell’apprendimento?

Pochi sanno che questa figura professionale è definita anche dalla legge italiana, prima dalla legge Moratti che per la prima volta descrive questa professione come “una figura con funzione di supporto, di tutorato, di coordinamento dell’attività educativa, didattica …”, e successivamente nel Decreto Legge n.59/2004 dove si presenta il tutor come figura di riferimento per alunni e genitori.

Seguendo queste indicazioni possiamo concludere che il tutor ha la funzione principale di facilitare l’apprendimento e di fungersi da catalizzatore degli aspetti legati ad esso.

Spesso si è portati a credere che questo ruolo riguardi principalmente i bambini o i ragazzi che hanno una specifica difficoltà di apprendimento, ma in realtà il tutor può essere utile e sostenere studenti di qualsiasi età e a promuovere un atteggiamento più efficace e competente rispetto all’apprendimento in qualsiasi ambito. Il tutor può lavorare sia in percorsi individuali che di gruppo e in ogni caso svolge la sua funzione tenendo conto si di particolari difficoltà, ma anche delle specifiche qualità dello studente.

Ma qual è il ruolo che svolge, quali sono le sue funzioni? Ma soprattutto che competenze ha?

Non è una ripetizione: questione di focus

Quando ho iniziato questo lavoro mi sono trovata spesso nella condizione di dover definire ciò che faccio e che cosa c’è di diverso da una classica ripetizione.

Per quanto mi riguarda la principale differenza è il focus.

Durante una ripetizione, lo dice il termine stesso, il focus è sul compito, sulla materia, sul “ripetere” magari con modalità diversa i concetti e le informazioni che sono state spiegate a scuola e che per qualche ragione lo studente non è riuscito a capire o ad imparare. Può essere che ci sia bisogno di riprendere dei concetti precedenti, perché non chiari, di recuperare informazioni che non sono state studiate e si sono accumulate o più semplicemente di rispiegare quelle informazioni in una modalità diversa.

In un percorso i tutoraggio, invece, il tutor si focalizza sulla persona. Per lui è importante arrivare a capire quali siano le difficoltà, ma anche le risorse, le abilità e le convinzioni del bambino e ragazzo che ha di fronte. È interessato a conoscere le caratteristiche dei contesti in cui il ragazzo vive, ma soprattutto raccoglie tutte queste informazioni per far si che sia il ragazzo stesso ad esserne consapevole.

Il vero obiettivo del tutor è quindi quello di rendere il ragazzo più consapevole di sé e dei processi che mette in atto nell’apprendimento, siano essi cognitivi o emotivi/motivazionali.

Questo non significa che il tutor non si preoccupa del contenuto da apprendere, ma che lavora sul contenuto solo in funzione dell’obiettivo più ampio di facilitare e rendere autonoma e consapevole la persona.

Proprio per questa finalità, il tutor ha delle necessità diverse da chi segue un ragazzo per delle ripetizioni: ha bisogno di mantenere uno scambio aperto e costruttivo con la famiglia e gli insegnanti, nell’ottica di promuovere un ambiente positivo e di benessere nei contesti che il ragazzo vive tutti i giorni, e di monitorare l’andamento del percorso al di là di ciò che svolge durante gli incontri del percorso.

Tutor versus insegnante: l’importanza della relazione

Altra importante differenza da sottolineare è che il tutor dell’apprendimento non è un insegnante, né deve (o vuole) sostituirsi all’insegnante.

Il termine “insegnare” deriva dal latino insignare composto dal prefisso “in” unito al verbo “signare“, con il significato di segnare, imprimere e riconduce al sostantivo “signum“, che significa sigillo.
L’obiettivo principale di un insegnante è quello di trasmettere conoscenza. Imprimere delle nozioni nella mente dei suoi studenti.
L’attività dell’insegnante, quindi, lungi dal limitarsi alla trasmissione del sapere fine a se stesso, consiste nel “segnare” la mente dello studente, lasciando impresso un metodo di approccio alla realtà, che va ben oltre lo studio.

Ciò non toglie che un insegnante possa avere il ruolo di tutor nella misura in cui sostiene e facilita l’apprendimento dei suoi studenti magari occupandosi di creare in classe un contesto positivo e inclusivo.

Spesso però, nel complesso sistema scolastico italiano, gli stessi insegnanti sono messi in difficoltà nel loro compito educativo trovandosi imbrigliati nella necessità di portare avanti programmi e gestire grandissimi numeri di studenti.

Questa situazione porta gli insegnanti a dover imporre degli obiettivi ai ragazzi, dettati dalle indicazioni ministeriali, escludendo quindi la possibilità di lavorare sui reali obiettivi ed esigenze di ogni singolo ragazzo.

 

Il tutor dell’apprendimento mira a creare invece una relazione diversa con i ragazzi che segue. L’obiettivo è creare una relazione di fiducia e scambio, acquisendo autorevolezza e non autorità. Ha bisogno di stabilire una sorta di contratto con il ragazzo attraverso il quale condividere gli obiettivi e le regole del contesto in cui si lavora.

Il tutor si preoccupa di fornire feedback e di far sì che la capacità di valutarsi diventi autonoma da parte del ragazzo. Il tutor si pone in una posizione da cui non impone, ma crea lo spazio in cui sia possibile scegliere e agire.

Cosa non è un tutor e cosa non fa

Come succede per diverse professioni di sostegno, spesso succede che si assegnino al tutor compiti e competenze non sue. Non sempre questo viene fatto volontariamente e consciamente, ma per la mia esperienza prima di iniziare un percorso di tutor è importante essere chiari e sfatare aspettative che esulano dal compito e dalle possibilità di un tutor dell’apprendimento.

Un tutor non è un meccanico!

E voi penserete: “Questo è ovvio. Perché ce lo fai notare?”

Perché è fondamentale capire che il tutor non “aggiusta” nulla. E aggiungo tuo figlio non ha bisogno di essere aggiustato. Al massimo possiamo immaginarlo come chi lubrifica degli ingranaggi o rende più fluidi dei processi o dei meccanismi. Ma prima di tutto il tutor lavora con le persone e le persone non sono robot. Cercare la soluzione a un problema o una difficoltà nello studio non è come sostituire una gomma bucata e molto spesso non si possono dare scadenze precise ad un percorso.

Il tutor non è neanche un mago!

Non ha la bacchetta magica e non risolve i problemi imponendo le mani in uno schiocco di dita. Non ha la soluzione a tutti i mali, ma cerca di trovare la modalità migliore e specifica per sostenere tuo figlio nel suo percorso. Quindi chi promette che in un baleno tutto sarà risolto non può che star mentendo. Il tutor dell’apprendimento, certo, deve conoscere il suo ruolo e possedere diverse competenze e conoscenze, ma i suoi strumenti non sono incantesimi e vanno ripensati e rimessi in discussione a seconda del ragazzo, della situazione, del bisogno specifico. Per ottenere dei risultati efficaci ci sono dei tempi da rispettare e non sono solo i suoi, sono anche e soprattutto quelli del ragazzo.

Il tutor non è un supereroe!

Il tutor dell’apprendimento, ahimè, non ha dei super poteri, non esiste la soluzione perfetta o il metodo di studio ideale. Il suo compito non è risolvere i problemi o le difficoltà di tuo figlio, ma quello di accompagnare il ragazzo a conoscere le sue abilità e i suoi limiti e imparare come gestirli e superarli in autonomia. Come il supereroe, forse, non si lascia spaventare dalle difficoltà, ma sa che riconoscere i limiti è il primo passo necessario che può fare tuo figlio per potersi migliorare.

Quali sono le qualità del tutor?

Che cos’è allora che contraddistingue un buon tutor? Quali sono le sue qualità?

Secondo la mia opinione queste sono le principali:

  • conosce i processi legati all’apprendimento e le teorie a riguardo: si è formato su questo e ha imparato a riflettere su di sé per il loro funzionamento;
  • è creativo: non propone a tutti la stessa cosa e non si stanca mai di inventare nuove soluzioni;
  • ha voglia di mettersi in discussione: si impegna a formarsi e aggiornarsi e a confrontarsi con altri professionisti e con diversi punti di vista;
  • conosce i suoi limiti: sa, cioè, fino a che punto è competente e quando è il caso di fare un invio ad altri professionisti, sa creare rete per questo scopo;
  • sa mettersi in gioco nelle relazioni: instaura relazioni di fiducia con i ragazzi e con i genitori e si pone come punto di riferimento;
  • non è schiavo del successo: guida il ragazzo all’autonomia celebrando i successi e stimolandolo a superare i suoi limiti, ma la sua attenzione principale è dedicata al processo più che al risultato.
  • ha progettualità a breve e lungo termine: sa progettare ogni singolo incontro, ma ha anche una visione a lungo termine e mantiene monitorato l’andamento del percorso globale di ogni ragazzo.

Nella mia esperienza, nei percorsi sul metodo di studio o nei percorsi con ragazzi con Bisogni Linguistici Specifici, il tutor non ha solo qualità e necessità, ma ha anche la possibilità di godere di tanti vantaggi; In questi anni ho potuto creare tante bellissime relazioni e conoscenze e provare molte soddisfazioni. Lo scambio e il confronto con colleghi, molti ragazzi e sfide mi ha arricchito forse anche di più di tutta la formazione a cui ho partecipato. In ogni percorso a crescere non è solo il ragazzo, ma anche io stessa, e credo forse che la maggiore qualità del tutor sia la passione per il lavoro che svolge.

 

 

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