Il potere di credere

Quando mi fermo a rileggere una della frasi che descrivono la nostra Mission a Centro Archè, mi viene spesso un brivido lungo la schiena. Un brivido che parte dalla testa e arriva fino alla punta dei piedi: veloce, intenso, inaspettato.

“Crediamo che per sostenere queste sfide sia necessario restituire potere alla persona.”

Le quattro parole “restituire potere alla persona” sono per me come un monito e un promemoria che giorno dopo giorno, prima di iniziare a lavorare, mi ripeto!

Sono quelle quattro parole che mi fanno pensare a quanto il mio lavoro sia splendido e a quanto sia uno strumento di contributo e crescita per me e per le persone che incrocio.

Ma non è sempre stato così. La vibrazione impalpabile che scorre nel corpo leggendo questa frase è frutto di anni di percorso formativo professionale, di crescita, di cadute, di fallimenti e di riscoperte.

Credo che le persone debbano essere cambiate

Quando studiavo logopedia, sfruttavo il mio pomeriggio per lavorare e aiutare molti ragazzi nell’affrontare con più propositività e sicurezza i compiti e il lavoro sul metodo di studio. Era il 2006, io ero alle prime esperienze e spesso, di fronte alla difficoltà di uno studente pensavo: “Vediamo se riesce a capire che deve cambiare modo di pensare. Se continua a usare lo stesso metodo non otterrà il risultato tanto desiderato”.

Ingenuamente vedevo ogni alunno come una macchina con un ingranaggio rotto che deve essere sostituito. E io sentivo quindi di dover essere il meccanico che accorre per aggiustare la macchina.

Imparamento è la parola giusta per definire il lavoro che facevo: tentavo di riempire i buchi vuoti che i ragazzi avevano dopo aver assistito alle lezioni scolastiche o dopo aver provato ad affrontare il libro da soli.

Il risultato? Alcuni studenti miglioravano i loro voti scolastici, altri impiegavano meno tempo a studiare. Per altri infine nulla cambiava e la rabbia e la demotivazione nei confronti della scuola permanevano.

Credo che le persone possano essere cambiate

Poi ho avuto la fortuna di incrociare una ragazza per me ancora oggi molto speciale: Daniela. Daniela ha un disturbo dell’apprendimento, all’epoca era molto timida e parlava a monosillabi.

Ho iniziato a seguirla in un percorso individuale. Ogni settimana, prima dell’appuntamento, pensavo a lei: vedevo la sua potenzialità inespressa, mi immaginavo i prossimi passi che avrebbe potuto compiere per crescere. Sentivo però anche il suo timore di cambiare.

Con lei ho iniziato a lavorare mettendo al primo posto la persona e la sua personale area di sviluppo. Perché il cambiamento è possibile, ma solo se la persona sceglie di cambiare.

[Se vuoi saperne di più leggi gli studi fatti dal Vygotskij riguardo la zona di sviluppo prossimale]

Non vi nego che è stato difficile: alle volte avrei voluto premere sull’acceleratore, dare delle pronte soluzioni ai problemi che venivano fuori, dirle a parole che ce l’avrebbe potuta fare. Ma la pazienza dell’attesa e la tenacia hanno alla fine dato i loro frutti, inaspettati e grandiosi: Daniela è sbocciata ed è diventata uno splendido fiore.

Credo di poter cambiare io stessa

Un ulteriore salto di qualità nel mio lavoro è arrivato quando ho conosciuto James e la sua famiglia. Faceva la terza elementare, non sapeva leggere. Usava un codice di scrittura tutto suo, formato da una serie di J scritte con vari orientamenti. Aveva difficoltà nella coordinazione motoria, nel linguaggio, negli aspetti cognitivi globali, nella relazione con i suoi coetanei. La madre e il padre mi avevano chiesto di lavorare con lui per aiutarlo ad imparare a leggere e scrivere. Dopo il colloquio volevo sprofondare.

Tutti gli anni di studio che avevo fatto mi sembravano inutili. Conoscevo moltissime strategie e tecniche, ma nessuna sembrava funzionare.

Grazie a James ho riflettuto molto di più sulla responsabilità che ho in tutti i percorsi che affronto con i ragazzi. Ho provato direttamente sulla mia pelle il valore della frase che spesso sentivo ripetere dai professori all’università: “Ricorda di adattarti tu al bambino che hai di fronte. Non lasciare che sia lui che debba adattarsi alle attività proposte!”.

E così, con James, ho iniziato a fare logopedia giocando a calcio, rimanendo sdraiata (non seduta!) a terra. Sono uscita dalla mia routine di lavoro, non ho più usato materiale già costruito. Mi sono semplicemente fermata ad ascoltare ciò che questo bambino aveva da raccontarmi. E dopo averlo ascoltato ho iniziato a cambiare il mio modo di lavorare.

Credo che, lavorando, possa io stessa cambiare

Dopo James, la mia consapevolezza di poter restituire potere alla persona che avevo davanti è aumentata in maniera esponenziale. Mi sono resa conto sempre di più che il mio lavoro è un’occasione: per il bambino, ma anche per me. Un’occasione di scoperta, di arricchimento e di crescita.

Ho iniziato a immaginarmi come una bolla, un piccolo microcosmo pieno di valori, emozioni, capacità, esperienze. E come me ogni bambino che incontravo aveva il suo microcosmo, pieno di talento e di abilità, spesso inespresse. Ma la cosa straordinaria è che questi due microcosmi, incontrandosi e scontrandosi, hanno la possibilità di cambiare e di evolvere.

L’incontro con l’individualità dell’altro è diventato il carburante che mi ha spinto a cambiare modo di pensare, a spostare limiti (soprattutto quelli imposti dalle etichette, quali possono essere “dislessia“, “difficoltà di attenzione“, “ritardo mentale”, etc.) a migliorarmi sempre di più per poter supportare al meglio il percorso dei ragazzi che vedevo a lavoro.

Il concetto, riassunto in poche parole, potrebbe essere questo:

“Quando io vinco, tu vinci. Quando tu vinci, io vinco!”

Credo che ogni persona, cambiando, modifichi l’ambiente in cui vive

Ciò che sto osservando in questi ultimi anni di lavoro ha sicuramente dell’incredibile. E per capirlo vi racconto la storia di di Andrea. Andrea è un bambino che frequenta la terza elementare, adottato, con difficoltà a parlare. Le poche volte che riesce a esprimersi utilizza singole parole, spesso difficili da comprendere perché escono impastate.

Per i primi mesi di percorso, ho speso molto tempo a cercare di capire il suo mondo. Spesso avevo l’impressione di aver di fronte una persona imprigionata dalla sua stessa difficoltà nel parlare. Non poteva comunicare con gli amici, con i parenti. I genitori stessi riuscivano a decifrare a fatica le sue parole.

Dopo alcuni appuntamenti fatti con lui, Andrea ha avuto un‘illuminazione.

Poteva comunicare!

Riusciva a comunicare!

Si era finalmente riappropriato del suo potere di comunicare!

La cosa straordinaria però non si limita a quello che vi ho scritto. I compagni di Andrea hanno iniziato a coinvolgerlo nella vita di classe. Il gruppo scout lo ha accolto e ha deciso di portarlo in esterna, lontano da casa. I nonni hanno iniziato a spronarlo sempre più e a rinforzare ogni suo successo. Le maestre hanno deciso con il nuovo anno di non farlo uscire dalla classe durante le lezioni.

Cambiando se stesso, Andrea ha innescato una reazione a catena molto più ampia e ha permesso all’ambiente che lo circonda di cambiare e crescere assieme a lui.

 

Con l’augurio che in questo 2018 voi tutti possiate essere “strumenti” in grado di restituire potere alle persone che vi circondano.

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