L’emozione non è scontata

In questo periodo dell’anno mi capita di incontrare sempre più bambini e genitori che mi dicono: “Quando studio a casa so tutto, ma davanti al Prof mi dimentico ogni cosa”, oppure “L’ho interrogato io stesso a casa, e mi sembrava sapesse l’argomento”.
A quanti di voi è capitato di avere uno di questi pensieri?
Cosa porta un ragazzo a non raggiungere il risultato che si era prefissato?
Uno dei motivi che porta a questa situazione è legato alla gestione dell’emotività e a come questa influenzi la comunicazione con l’insegnante.
La comunicazione delle informazioni viene elaborata da differenti strutture del cervello: la corteccia, che si occupa del ragionamento cosciente, e la collaborazione di talamo e amigdala per la gestione delle emozioni. Mi spiego meglio con un esempio.
Giorgio è un ragazzo che sta studiando il Risorgimento italiano. A casa prova a ripetere la lezione a voce alta e poi a esporla davanti al papà. Tutto sembra filare liscio. Le informazioni sono state comprese e organizzate in modo ordinato a livello della corteccia cerebrale. Il giorno successivo viene chiamato alla lavagna per essere interrogato e… comincia a sudare, guarda i compagni preoccupato e fatica ad aprire la bocca. In questa situazione entra in gioco l’emozione della paura. Cosa succede in questo caso nel cervello?

Per elaborare l’emozione della paura il cervello usa due diverse strade di comunicazione. La strada lunga porta i segnali dal talamo, una stazione di smistamento dei segnali sensoriali, alla corteccia sensoriale (dove lo stimolo viene elaborato consapevolmente) fino ad arrivare all’amigdala, ”centralina” della paura e dell’ansia.
La strada corta porta invece le informazioni direttamente dal talamo all’amigdala ed essendo più veloce, prevale su quella lunga: questo significa che le informazioni non passano per la corteccia e quindi non avviene un’elaborazione cosciente. In questo caso quando è a scuola Giorgio non riesce a rimanere calmo e lucido e ad accedere quindi alle sue conoscenze, informazioni e ragionamenti depositati a livello della corteccia. Il risultato? Giorgio sembra impreparato!

Le emozioni hanno motivo di esistere per permetterci di reagire più velocemente del nostro ragionamento conscio. Di solito siamo consapevoli della loro esistenza che può influire sulle nostre azioni, ma può accadere che le emozioni seguano una strada diversa dalla ragione con la conseguenza di non riuscire a controllare il nostro comportamento, fino a bloccarci.
Succede così per tutte le emozioni? No! Solo per quelle semplici che manifestiamo già nei primi mesi di vita come ad esempio la gioia, la tristezza, la rabbia, la paura e il disgusto. Esse danno direzione all’attenzione, impegnano le nostre risorse innate e dispongono quindi una serie specifica di comportamenti. Grazie alle emozioni possiamo progettare piani e obiettivi velocizzando il tempo e l’utilizzo delle nostre risorse intellettive.

L’obiettivo finale è che non sia l’emozione a controllare il risultato, ma che l’emozione sia un campanello di allarme che permette di mettersi sull’attenti, gestire il proprio stato e accedere in maniera efficiente alle informazioni sedimentate in memoria.
Per fare questo il ragazzo avrà bisogno di sviluppare un’adeguata competenza emotiva cioè aver elaborato le proprie esperienze emotive, come la paura, assieme alle valutazioni cognitive, alla propria conoscenza di sé e delle sue conoscenze sociali e comunicative.
Dovrà quindi riconoscere e comprendere le proprie emozioni e quelle degli altri, mettere in relazione le circostanze interne con la paura e infine comunicarla.
Tutto questo si può fare solo se il ragazzo prende le distanze dallo stato d’animo della paura per poi analizzarla, controllarla ed elaborarla cognitivamente.

La competenza emotiva può essere analizzata attraverso tre differenti dimensioni.
La prima è la consapevolezza dei propri stati emotivi che consiste nell’individuarne le sfumature ed eventualmente l’esistenza di emozioni ambivalenti. Importante poi è la capacità di controllare le emozioni che riteniamo opportune e di celarle eventualmente a proprio vantaggio. Sarà capitato a qualcuno di fingere di apprezzare un regalo ricevuto che in realtà non piace. Abbiamo poi bisogno di trovare strategie di autoregolazione per migliorare il nostro stato e far fronte appunto a situazioni negative come, per Giorgio, l’interrogazione. Per esempio, per evitare di agitare le mani continuamente e quindi trasmettere insicurezza all’insegnante, si può semplicemente tenere tra le mani un oggetto come una penna o una matita. Se l’ansia è forte può essere utile prima di iniziare l’interrogazione ripensare a occhi chiusi ad una situazione in cui si è dato il massimo per conseguire quell’obiettivo così importante e per il quale abbiamo donato parecchie nostre energie . Questo aiuta a manifestare la carica positiva e le emozioni che ci rendono performanti davanti all’insegnante o al pubblico di turno.
La seconda dimensione è il saper riconoscere le emozioni altrui cioè vuol dire imparare a provare empatia. Significa mettersi nei panni dell’altro per meglio comprendere la situazione che sta vivendo e la consapevolezza da lui sperimentata .
Con queste due capacità si riesce poi a distinguere ciò che le persone fanno o comunicano da quello che provano dentro realmente. Può accadere per esempio di litigare con forza tra compagni di classe e questo avviene perché le rispettive conoscenze interpretative in fatto di empatia sono ancora acerbe. Possiamo allenare questa capacità giornalmente comunicando con più persone possibili, parlando anche con chi non ci piace particolarmente, chiedendo loro esplicitamente come si sentono e poi annotarne le somiglianze. Tutto questo si può fare se si comincia a avere dimestichezza a riconoscere pienamente le proprie emozioni e accettando a cuore aperto quelle degli altri.
Infine la terza dimensione riguarda le conoscenze delle regole culturali a proposito delle emozioni.
Di questo aspetto fanno parte l’abilità di utilizzare parole ed espressioni linguistiche per descrivere i propri stati emotivi e la conoscenza della cultura o del gruppo di appartenenza circa le emozioni che vengono giudicate appropriate in una determinata circostanza.
Questi tre livelli fanno parte della complessità che si struttura attorno al mondo delle emozioni ed è quindi difficile indicare il momento e l’età in cui la competenza emotiva viene acquisita. Il processo è lungo e viene affinato fino a quando si raggiunge l’età adulta.

Avere consapevolezza delle sfaccettature delle emozioni può portare ad una maggiore visione del mondo nelle relazioni con gli altri , una maggiore conoscenza del nostro io profondo e dei nostri istinti ancestrali ma che da sempre rendono colorita la nostra esistenza.
In conclusione, se vogliamo che l’interrogazione vada a buon fine non basta solo il contenuto di ciò che si è imparato, serve anche avere la consapevolezza e la gestione delle proprie emozioni. E’ cogliendo ogni occasione che si può maturare e migliorare la propria emotività.

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